LASCAUX E GIZA: UNA NUOVA CORRELAZIONE STELLARE | Il modello celeste di Giza

_______________________________________________________ L'idea che la cultura dell'antico Egitto possa anche essere, almeno in parte, il retaggio di tradizioni molto più antiche è un tema ben presente nella cultura egizia stessa, e ripreso oggi da quel genere di ricercatori definiti 'alternativi', spesso all'origine di feroci controversie e sprezzanti giudizi. Il sottoscritto non si sottrae alla definizione di ricercatore 'alternativo'. Tuttavia, vorrebbe chiedere al lettore più intransigente di considerare con serenità ed equilibrio le evidenze portate nel presente articolo, anche se tali evidenze conducono, come si vedrà, a dover rivedere le nostre conoscenze sulla preistoria, nello specifico la nostra conscenza del tardo paleolitico europeo e del lungo periodo che ha preceduto, nella valle del Nilo, l'Egitto predinastico e dinastico.   Una Lascaux nella valle del Nilo Nel 2004 un team di archeologi belgi, diretto da Dirk Huyge, riscoprì alcune pareti rocciose decorate con petroglifi, nella regione di Kom Ombo, in un'area presso il moderno villaggio di Qurta; i siti – tre, denominati Qurta I, II e III, distribuiti su una distanza di due chilometri – erano stati individuati da una missione canadese nel 1962-'63, ma da allora non vi aveva più fatto visita alcun archeologo [1]. Complessivamente si contano –  al momento, ma le registrazioni proseguono – circa centosessanta petroglifi in cui sono raffigurati bovidi, uccelli, ippopotami, gazzelle, pesci e figure umane, realizzate presumibilmente in una singola fase [fig. A] . Gli animali disegnati non sembrano addomesticati; in particolare, i bovidi sono identificabili come bos primigenius (uro). La tecnica utilizzata consisteva nello scolpire e incidere la superficie rocciosa per poi colorare le figure, generalmente con pigmenti molto scuri. Già ad un primo esame appariva evidente l'estrema antichità dei petroglifi, anche per le tracce evidenti dell'azione degli agenti atmosferici; purtroppo, però, gli scavi condotti a Qurta I non hanno rivelato nulla sull'età di queste opere, né sulla gente che le creò. Tuttavia, nonostante la carenza di informazioni dirette, gli studiosi hanno potuto formulare alcune ipotesi basandosi sui contesti archeologici dei siti circostanti e sull'analisi stilistica dei disegni. I siti del tardo paleolitico nella regione di Kom Ombo — studiati sin dai tempi della missione canadese del 1962-'63 — hanno portato alla raccolta di reperti attribuiti alla cultura Ballanan-Silsilian, databile a circa 16-15.000 anni fa, che corrisponde alla fine del periodo iper-arido e precede il ritorno delle piogge e la fase del "Nilo selvaggio" (14-13.000 anni fa). Si tratta di una cultura di cacciatori e pescatori, la cui sussistenza si basava su una fauna che corrisponde molto bene al repertorio animale dell'arte rupestre di Qurta dove manca, significativamente, la grande fauna etiopica degli elefanti, delle giraffe e dei rinoceronti. Come riconosce lo stesso Zahi Hawass (Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità), l'arte di Qurta è sostanzialmente differente dall'arte rupestre predinastica del IV millennio a.C., nota da centinaia di siti lungo la valle del Nilo e nelle adiacenti fasce desertiche; l'unico parallelo noto fin'ora è l'arte rupestre scoperta nel 2004 a Abu Tanqura Bahari a el-Hosh, circa 10 km a nord di Qurta sulla riva opposta del fiume. Non sembra dunque fondata l'opinione del direttore della missione canadese, il quale era dell'avviso che l'arte di Qurta non sia molto antica e risalga solo al mesolitico; Huyge, al contrario, ritiene che tale arte rifletta una mentalità paleolitica comparabile a quella che ha prodotto l'arte europea del tardo paleolitico, in particolare quella magdaleniana, a cui essa appare stilisticamente affine.   I Gemelli di Lascaux Dirk Huyge ha definito l'arte di Qurta, per le sue caratteristiche, una "Lascaux sul Nilo"; in seguito, rimproverato per aver tracciato un ponte tanto spericolato, ha dovuto precisare che non intendeva suggerire un reale collegamento fra i due siti. Il nome di Lascaux è stato fatto, confessa, più per la sua efficacia comunicativa che per un vero significato archeologico: in effetti, precisa Huyge, l'arte di Qurta rassomiglia, più che a quella di Lascaux, a quella del tardo maddaleniano, rappresentato ad esempio dalla grotta della Mairie in Teyjat (Dordogna), datata al periodo di circa 13-12.000 anni fa. Tuttavia, per quanto a prima vista incredibile, la possibilità di una effettiva relazione fra Lascaux e Qurta non può più essere esclusa con tanta sicurezza, come si legge nel saggio The Lascaux Twin di William Glyn-Jones uscito nel 2007 sul sito internet dell'autore [2]. A Lascaux, nel dipartimento francese della Dordogna, si trova un complesso di grotte celebre per i suoi dipinti rupestri, attribuiti alla cultura paleolitica magdaleniana e datati a circa 17.300 anni fa. Si contano quasi duemila figure, che possono essere raggruppate in tre categorie principali: animali, esseri umani e segni astratti; fra gli animali prevalgono gli equini, seguiti da cervi e bovini e altri. L'analisi di Glyn-Jones verte in particolare su una scena dipinta nella camera denominata "Pozzo del Morto", ubicata dopo un tratto discendente laterale rispetto al complesso principale; l'importanza e probabilmente il carattere sacro della rappresentazione sono testimoniati dal fatto che la roccia al bordo della calata verso la camera è lisciata e annerita, suggerendo che migliaia di persone siano là discese nel corso del tempo. La scena [fig. B] , celeberrima, rappresenta un bisonte con la testa abbassata, alla destra di quella che è una lunga figura umana itifallica inclinata e sospesa a mezz'aria, dotata di una sorta di becco che rende la testa simile a quella di uccello; e un uccello, pure, in cima ad una pertica si trova posizionato sotto la figura umana; alla sinistra di queste, c'è la figura di un rinoceronte, rivolto fuori scena. La tesi di Glyn-Jones è che questa scena debba essere letta in chiave astronomica, come rappresentazione della regione celeste che include le costellazioni del Toro, dei Gemelli, del Cane Minore e del Leone [fig. C] . La costellazione dei Gemelli è formata da due lunghe linee diritte inclinate a 45° rispetto all'eclittica, esattamente come l'uomo-uccello di Lascaux; e il rapporto fra le figure del toro e dell'uomo-uccello di Lascaux è simile a quello fra le due costellazioni. Quanto al rinoceronte, esso occupa nella scena la stessa posizione in cui nel cielo si trova la costellazione del Leone (addirittura, la parte posteriore del rinoceronte coincide perfettamente con la corrispondente porzione della costellazione). La possibilità che costellazioni, in particolare il Toro e le Pleiadi, fossero rappresentate nelle grotte di Lascaux è stata suggerita per prima da Luz Antequera Congregado nella sua tesi di dottorato nel 1992: i puntini sopra la spalla di un toro, in un'altra celebre scena di Lascaux [Fig. D], rappresenterebbero le Pleiadi e i punti nel muso del toro le vicine Iadi. Successivamente, Mary Settegast in Plato Prehistorian [3] ha avuto la brillante intuizione di associare l'uomo-uccello di Lascaux alla figura di Yama (India indù), che ha i suoi corrispondenti in Yima (Persia) e in Ymir (Scandinavia). La radice indoeuropea del nome Yama−Yima-Ymir è la stessa di Gemini e significa 'gemello'. L'identità di questa figura è quella del primo progenitore nonché signore dei morti ed è associata al bovino primordiale. Nel suo saggio Glyn-Jones osserva, inoltre, che l'uccello-sulla-pertica di Lascaux è un motivo sorprendentemente diffuso anche in altri contesti, in altri luoghi e altri tempi: è il caso dello Zodiaco di Denderah [Fig. E] dove la raffigurazione di Horus-falco che sormonta un fusto di papiro si trova proprio sotto i Gemelli, come nella scena di Lascaux. Un'associazione fra le immagini simboliche del falco e dei gemelli la ritroviamo anche nei Testi delle Piramidi, dove si dice del faraone defunto: « Tu ascendi con la testa di un falco e tutte le tue membra sono quelle dei gemelli di Atum ». Successivamente, nel Corpus Hermeticum ad Atum è attribuita la creazione dello Zodiaco, nel cui contesto non c'è alcun dubbio su chi siano i Gemelli di Atum: nient'altro che la costellazione dei Gemelli. La raffigurazione di Horus-falco che sormonta un fusto di papiro (o un pilastro, o anche una pertica) è tradizionalmente associata ai "Seguaci di Horus", mitica stirpe originaria di un'altra terra, che avrebbe governato l'Egitto dopo i regni degli déi e dei semidéi, molti millenni prima dell'età dinastica. Nell'arte egizia sono numerose le raffigurazioni di Horus-falco su una pertica, non solo nel periodo dinastico, ma anche in quello predinastico e perfino nell'arte rupestre (ad es. nello Wadi Hammamat) [Fig. F] . È un'immagine, del resto, presente simbolicamente in quello che era il cuore religioso dell'antico Egitto nell'età delle piramidi: il tempio della Fenice a Eliopoli. Qui troviamo un pilastro sacro sormontato dalla pietra Benben su cui, secondo la tradizione, si era posato all'alba dei tempi l'uccello Bennu – la Fenice – simbolo di rigenerazione e dell'avvicendarsi dei cicli cosmici [fig. G] . Un altro appellativo dei Seguaci di Horus era, non a caso, "Fondatori di Eliopoli". Il mito egizio della Fenice che risorge dopo lunghi periodi di tempo è ritenuto dagli egittologi riferirsi al ciclo sotiaco del calendario egizio. Il fatto essenziale è che la Fenice – l'uccello Bennu appollaiato sulla pietra Benben – era identificata con Sirio. Sorprendentemente, anche questo trova un riscontro con la posizione dell'uccello-sulla-pertica nella mappa stellare di Lascaux, benché si debba fare una precisazione: nella scena di Lascaux la posizione dell'uccello-sulla-pertica in rapporto alle costellazioni vicine sembra in effetti più conforme a quella di Procione che a quella di Sirio, e del resto alla latitudine di Lascaux (45° 03' N), 17.000 anni fa, Sirio non saliva mai sopra l'orizzonte; solo 9.500 anni fa circa Sirio sarebbe tornato nuovamente visibile da Lascaux (quando però la cultura magdaleniana era già tramontata). Questa sconcertante corrispondenza fra il dipinto di Lascaux e motivi analoghi presenti dell'arte egizia (da quella predinastica fino allo Zodiaco di Denderah) apre la porta, secondo Glyn-Jones, alla seguente ipotesi: i Seguaci di Horus, fondatori di Eliopoli, potrebbero essere gli stessi autori delle scene di Lascaux: una tribù magdaleniana che aveva come totem la raffigurazione di un uccello e di un toro. È possibile – suggerisce Glyn-Jones – che in origine l'uccello-sulla-pertica corrispondesse a Procione piuttosto che a Sirio; in seguito, probabilmente già in terra d'Egitto, potrebbe essere accaduto che l'associazione venisse trasferita alla più luminosa Sirio. La tesi di Glyn-Jones se da un parte sembra supportare l'idea di una relazione fra la valle del Nilo e l'europa maddaleniana del tardo paleolitico, dall'altra crea un problema difficilmente risolvibile al momento. Si tratta di una questione di cronologia: il lavoro di Huyge ci dice che l'arte rupestre di Qurta presenta affinità con quella tardo-maddaleniana della grotta della Mairie in Teyjat che viene 2-3.000 anni dopo; all'opposto, Glyn-Jones ci dice che l'iconografia del dipinto Lascaux – che precede Qurta di almeno un migliaio d'anni  – presenta affinità con alcuni elementi dell'iconografia e del mito dell'egitto pre-dinastico e dinastico, di molto posteriori. Chi viene prima: la valle del Nilo o la Francia meridionale? Il problema, al momento, resta insoluto.   Lo Zodiaco di Denderah Dedicato alla dea Hathor, il tempio di Denderah – centocinquanta chilometri a nord di Karnak – fu costruito nel sec. I a.C., quindi alla fine della storia dell'antico Egitto; tuttavia un'iscrizione nel tempio afferma che i progetti originali di costruzione erano stati rinvenuti « in antiche linee scritte sulla pelle di animali del tempo dei Seguaci di Horus » [4]. Questo esplicito riferimento costituisce un invito a prendere attentamente in considerazione il celebre zodiaco circolare, istoriato sul soffitto all'interno del tempio. Horus–falco e i Gemelli vi occupano una posizione nient'affatto casuale: si trovano infatti allineati con l'asse del tempio, che non è rivolto al nord vero, ma a un azimut di 18° 07'. Ci sono pochi dubbi che esista una relazione fra Sirio e il tempio di Denderah, o ancor meglio, il tempio di Iside che si trova sulla parte posteriore del complesso principale ed è ruotato di 90° rispetto ad esso: infatti l'azimut del tempio di Iside (108° 29') punta direttamente al sorgere di Sirio nel sec. I a.C. [5]. Nonostante questo evidente legame con Sirio, tuttavia, nello zodiaco la posizione di Horus-falco in rapporto ai Gemelli non è congruente con quella di Sirio, ma con quella di Procione, proprio come l'uccello-sulla-pertica di Lascaux; ciò sembra significativo, alla luce di quanto detto sopra. A lasciare perplessi, però, c'è il fatto che nello zodiaco Sirio, Horus-falco (Procione) e i Gemelli non si trovano ad est, dove sorgono, né a sud, dove culminano, né infine a ovest, dove tramontano, bensì a nord: vale a dire una posizione che non corrisponde ad alcuna possibile osservazione di quella regione celeste. Questo potrebbe voler suggerire che, per rimettere le cose 'a posto', sia necessario ruotare lo zodiaco di 180°, il che significa mezzo giro dell'orologio precessionale, ossia circa 12.900 anni; ma rispetto a quale epoca? Disposte sulle diagonali vi sono quattro figure femminili con le braccia sopra la testa: esse rappresentano le 'portatrici' del cielo, ossia le costellazioni che ospitano il Sole nei momenti cardinali dell'anno (gli equinozi e i solstizi), il più significativo dei quali era ritenuto essere l'equinozio di primavera. Le quattro portatrici dello zodiaco di Denderah marcano le coppie di costellazioni Toro-Bilancia e Leone-Aquario, ma nessuna di queste era la portatrice dell'equinozio di primavera nel sec. I a.C., quando il tempio fu eretto; in quest'epoca infatti, il punto vernale (cioè l'equinozio di primavera) stava fra Ariete e Pesci, come in effetti è marcato dall'asse ortogonale a quello principale del tempio. Gli studiosi pertanto sono propensi a ritenere che lo zodiaco indichi secondariamente l'età della propria edificazione e principalmente l'età del Toro (6500-3900 anni fa circa), per ragioni tuttavia non chiarite. Ma che succederebbe ora se, come poc'anzi suggerito, si ruotasse lo zodiaco di 180°? La costellazione portatrice dell'equinozio di primavera diventerebbe la Bilancia (intorno a 17.000 anni fa), un'epoca in cui Procione e le teste dei Gemelli (Castore e Polluce) culminavano simultaneamente al meridiano sud un paio d'ore prima dell'alba nel giorno dell'equinozio di primavera; e subito prima dell'alba – prima che il chiarore del giorno inghiottisse il firmamento – Procione e i Gemelli sarebbero stati perfettamente allineati con l'asse del tempio di Denderah (azimut 198° 07') [Fig. H] . Dunque, lo zodiaco di Denderah conterrebbe codificato il riferimento alla medesima età dei dipinti di Lascaux; mentre a un'età di poco posteriore (16-15.000 anni fa) troviamo anche i dipinti di Qurta.   Una nuova correlazione stellare per Giza La regione celeste rappresentata nella scena di Lascaux rivestiva una particolare importanza in molte civiltà del passato, fra cui quella egizia. La ragione è semplice: fra i Gemelli e il Toro si trova uno dei due punti di incrocio della Via Lattea con l'eclittica (l'altro è fra Scorpione e Sagittario); questi luoghi celesti, in molte tradizioni antiche, erano considerati delle "porte", varchi attraverso cui le anime potevano entrare nel regno dei cieli o tornare ad incarnarsi nel mondo terreno. Gli antichi egizi chiamavano Duat questa regione celeste, che trovava il suo corrispondente terrestre in Rostau, ossia Giza, cuore della vasta necropoli di Menfi votata al dio Sokar (il cui epiteto principale era "ni R3-st3w" che significa "quello di Rostau", ossia di Giza). Se pensiamo che Sokar era solitamente rappresentato come falco mummificato, o meglio come mummia con testa di falco – in poche parole come uomo-uccello, simile alla figura di Lascaux – risulta difficile credere, a questo punto, che tutte queste corrispondenze fra Lascaux e Giza si debbano solo al caso; e viene naturale chiedersi se, come per il dipinto di Lascaux, il disegno complessivo di Giza non rappresenti una mappa stellare della medesima regione. Si tratta di un'ipotesi in parte già esplorata: conosciamo la teoria della correlazione stellare di Robert Bauval, secondo cui le tre piramidi principali di Giza corrispondono alle tre stelle della Cintura d'Orione. Da parte mia, ritengo che ciò sia plausibile, anzi, molto probabilmente vero; io stesso ho portato ulteriori elementi a supporto di tale tesi nel mio libro Il segreto di Giza (Newton&Compton, Roma, 2003). Come ho mostrato nel libro, la corrispondenza fra le tre piramidi e le tre stelle della Cintura d'Orione [fig. I] non è perfetta, certo, ma comunque abbastanza buona da doverne ritenere piuttosto improbabile la semplice casualità, tenuto anche conto dell'allineamento con Sirio 14.000 circa [fig. X] e in considerazione del contesto culturale egizio (in cui peculiare importanza rivestiva questa regione del cielo e in particolare la costellazione d'Orione, identificata con Osiride, come la vicina Sirio era identificata con Iside). Quel che ho scoperto, in seguito, è che la correlazione di Orione, pur valida, potrebbe non essere tutto: un altro disegno, più antico, potrebbe essere codificato insieme a quello nella disposizione dei monumenti di Giza. L'idea è nata dall'osservazione che la Cintura d'Orione si prolunga in alto a destra verso Aldebaran nel Toro, mentre in basso a sinistra verso Sirio: il caso ha voluto che gli asterismi Alnitak-Alnilam-Mintaka (la Cintura d'Orione) e Sirio-Alnilam-Aldebaran siano non solo geometricamente molto simili (costituiti come sono da tre stelle quasi allineate), ma anche similmente orientati nello spazio. Sovrapponendo alla mappa di Giza la regione celeste del Duat il miglior risultato si ottiene con la mappa celeste riportata all'era precessionale della Bilancia (intorno a 17.000 anni fa) e ottenuta con proiezione di Mercatore centrata su Procione: Sirio, Alnilam e Aldebaran cadono rispettivamente nei pressi dei centri di Khufu, Khafre e Menkaure (come Alnitak, Alnilam e Mintaka nella correlazione di Orione) e Procione presso la Sfinge; inoltre, inaspettatamente, le testa di Castore (alfa Gemini) e Polluce (beta Gemini) vengono a cadere proprio sull'unico significativo rilievo naturale della piana di Giza, il Gebel Qibli [fig. J] . Per la precisione, Polluce viene a trovarsi quasi esattamente sulla sommità di questa collinetta ubicata a sud della Sfinge, nei pressi di un cimitero islamico: si tratta di un piccolo rilievo, ma nella topografia piatta della piana di Giza risulta ben visibile quando ci si trova ai piedi delle piramidi principali; tant'è che fu sempre scelto come stazione di triangolazione nelle diverse campagne di misurazioni topografiche. Fra la Sfinge e il Gebel Qibli, poi, si trova l'enigmatico "muro del corvo" ﷓ da alcuni ritenuto forse la più antica struttura di Giza ﷓ il cui orientamento est-ovest leggermente obliquo sembra richiamare quello dell'eclittica nello schema di sovrapposizione sopra descritto. In definitiva, la planimetria di Giza sembra modellata sul disegno del Duat celeste come appariva 17.000 anni fa circa, nell'era precessionale della Bilancia: la stessa epoca apparentemente indicata dallo zodiaco di Denderah.   Guardando al Gebel Qibli I rilievi, naturali o artificiali che siano, hanno spesso rappresentato per le popolazioni antiche dei punti d'osservazione del cielo, in un duplice senso: vale a dire, punti da cui osservare e verso cui osservare. È naturale quindi domandarsi se il rilievo naturale del Gebel Qibli, insieme ai rilievi artificiali delle piramidi e della Sfinge, costituiscano un sistema idoneo all'osservazione di determinati eventi celesti. Il problema è il seguente: stazionando sulla sommità del Gebel Qibli e volgendo lo sguardo all'apice di ciascuna piramide, cosa si vedrebbe in cielo? E viceversa, posizionandosi ai piedi di ciascuna piramide, cosa si vedrebbe in cielo volgendo lo sguardo al Gebel Qibli? Su una planimetria di Giza, congiungendo i centri delle piramidi con la sommità del Gebel Qibli si determinano tre linee visuali che individuano ciascuna, sul circolo ideale dell'orizzonte, una coppia di 'finestre' (azimut) opposte: tre di esse nel quadrante sud-est (azimut 96,69°, 125,81°, 157,31°) e tre in quello nord-ovest (azimut –83,31°, -54,19°, -22,69°). Con adeguati software astronomici è possibile verificare il sorgere e il tramontare degli astri, in quelle precise finestre, nelle diverse epoche. Le finestre del quadrante nord-ovest non mostrano nulla di particolarmente significativo, almeno ai fini della presente indagine; ma volgendo lo sguardo nella direzione opposta, al quadrante sud-est, si può verificare che le finestre inquadravano il sorgere di Sirio, Alnilam, Procione e Aldebaran in un arco temporale compreso fra 17.700 e 16.600 anni fa [fig. K] : uno scarto temporale relativamente stretto che racchiude l'era della Bilancia indicata nello zodiaco di Denderah, come si è visto, e nella sovrapposizione delle mappe terrestre e celeste. Nell'era della Bilancia questo accadeva: dai piedi della piramide di Khufu si vedeva sorgere, sul Gebel Qibli, Sirio, sua corrispondente celeste; dai piedi della piramide di Khafre si vedeva sorgere Alnilam (e poi anche Procione), sua corrispondente celeste; dai piedi della piramide di Menkaure si vedeva sorgere Aldebaran, sua corrispondente celeste. C'è da aggiungere che dai piedi della piramide di Khufu l'osservatore avrebbe visto, 16.600 anni fa, non solo il sorgere di Sirio sul Gebel Qibli, ma anche le stesse Alnilam e Aldebaran in verticale sopra di essa. In altre parole, semplicemente, ciascun astro era visto sorgere sopra il Gebel Qibli dall'osservatore situato ai piedi della piramide che gli corrispondeva: una coerenza stupefacente che, insieme alla correlazione planimetrica, non lascia molto spazio all'eventualità che Giza corrisponda al Duat celeste solo per caso, anziché per un progetto intenzionale.   Un duplice disegno? Al lettore attento non può però, a questo punto, sfuggire un elemento importante: poiché le linee visuali sono state costruite sulla carta congiungendo il Gebel Qibli con i centri delle tre piramidi, se un osservatore volesse verificare con i propri occhi tali allineamenti astronomici dovrebbe portarsi proprio al centro di ogni piramide, non semplicemente in prossimità della sua base, altrimenti l'allineamento non funzionerebbe; ma che significa portarsi al centro della piramide? Salire in cima, sull'apice? Non sembra molto pratico; oltretutto, dalla cima delle piramidi la linea dell'orizzonte si alza tanto da 'inghiottire' sotto di sé il Gebel Qibli che finisce per sparire nella piana circostante, senza poter offrire più alcun punto di riferimento visuale. Naturalmente, però, le piramidi di Giza non esistevano 17.000 anni fa. Ciò può significare una cosa soltanto: le tre piramidi potrebbero essere state edificate su posizioni precedentemente marcate in funzione di un preciso schema di correlazione terra-cielo. Sappiamo per certo che almeno le due piramidi maggiori sono edificate sopra piccoli rilievi (naturali o artificiali?), e sappiamo che la Sfinge è essa stessa, in gran parte, nient'altro che un rilievo naturale modellato dall'uomo. Allora, la soluzione più semplice al dilemma è forse questa: immaginare che, anticamente, molto prima che i monumenti di Giza fossero edificati, qualcuno abbia utilizzato un rilievo naturale, il Gebel Qibli, e modellato o innalzato altri quattro rilievi circostanti al fine di realizzare un determinato schema astronomico. In seguito, gli antichi egizi non avrebbero fatto altro che ricalcare con i propri monumenti la filigrana di un disegno semisepolto da secoli, o millenni, nelle sabbie dell'altopiano di Giza; un disegno di cui essi avevano perduto in gran parte – presumo – la memoria e le originarie finalità.   Conclusioni Non esiste un quadro archeologico che consenta di spiegare i contenuti archeoastronomici codificati nel sito di Giza. L'età a cui rimanda, circa 17.000 anni fa, per quanto ora se ne sappia, non era caratterizzata dalla presenza nella valle del Nilo di civiltà in grado di progettare e realizzare un complesso tanto sofisticato. D'altra parte, come si è detto, pensare di poter liquidare il tutto come puro caso appare un insulto all'intelligenza, e allo stesso spirito scientifico. Si deve dunque concludere che qualcuno quel complesso deve pur averlo progettato e realizzato; che il sito probabilmente sia rimasto sacro per millenni, ciò che ha permesso di salvarne le tracce fino all'età dinastica; e che, per quanto sembri incredibile, un qualche rapporto fra la gente che dipinse le grotte di Lascaux, quella che realizzò la prima Giza e la civiltà dell'antico Egitto, dovette realmente esserci. Di più, al momento, non è possibile dire: la sfida che si impone, ora, è quella di investigare ulteriormente per cercare dare un senso storico e archeologico ad un'evidenza terribilmente scomoda. _______________________________________________________

[1] Dirk Huyge, International Newsletter On Rock Art, 2008, n. 51, Foix (France)

[2] William Glyn-Jones, The Lascaux Twin, http://cuppalot.blogspot.com/2007/05/lascaux-twin.html, 2007

[3] Mary Settegast, Plato Prehistorian, The Rotenberg Press, Cambridge (Massachussets), 1987.

[4] Graham Hancock, Lo specchio del Cielo, Corbaccio, Milano, 1998, cap. 3.

[5] David Furlong, Egyptian Temple Orientation, 2007

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